Discriminazione nella disdetta

Esempio: un’impiegata riceve la disdetta perché si è difesa dalle osservazioni razziste del suo superiore.

Dare una disdetta per il colore della pelle o l’appartenenza etnica, nazionale o religiosa del lavoratore è illecito. I datori di lavoro di diritto pubblico che lo fanno violano il divieto costituzionale di discriminazione (art. 8 cpv. 2 Cost. o pertinente articolo della costituzione cantonale) e in alcuni casi anche diritti costituzionali quali la libertà di religione (art. 15 Cost.) e i pertinenti diritti fondamentali sanciti dalla costituzione cantonale, nonché il diritto pubblico del personale. Di norma, però, si applicano le disposizioni delle pertinenti leggi sul personale cantonali e comunali, che, analogamente a quelle della legge federale, rimandano spesso al Codice delle obbligazioni (art. 336 segg. CO). Il datore di lavoro che dà la disdetta a una persona perché si è difesa da comportamenti razzisti viola il principio della buona fede (art. 5 cpv. 3 Cost. o pertinente articolo della costituzione cantonale).

Approfondimento

Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio

1 La disdetta è abusiva se data:
a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.

Commento

In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.

Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.

Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.

Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.

Approfondimento

Art. 8 Cost. – Uguaglianza giuridica

1 Tutti sono uguali davanti alla legge.
2 Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche.

3 Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.
4 La legge prevede provvedimenti per eliminare svantaggi esistenti nei confronti dei disabili.

Commento

Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) e il divieto generale di discriminazione (cpv. 2) sono rilevanti ai fini della lotta contro la discriminazione razziale. Si tratta di diritti costituzionali che possono essere invocati da tutte le persone fisiche (privati), indipendentemente dalla loro cittadinanza. Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) vale anche per le persone giuridiche (imprese, società di capitali, associazioni, fondazioni ecc.).

L’art. 8 Cost. interessa tutti i livelli statali (Confederazione, Cantoni, Comuni e altri enti amministrativi) e comprende sia la legislazione che l’applicazione del diritto. Il disciplinamento è tuttavia vincolante unicamente per lo Stato; tra privati è applicabile soltanto in misura molto limitata.

L’uguaglianza giuridica secondo il cpv. 1 non ha valore assoluto. In presenza di motivi obiettivi, una disparità di trattamento può essere legittima e ammessa, se non addirittura necessaria. L’aiuto sociale prevede, ad esempio, prestazioni diverse a seconda dello statuto di soggiorno.

Il divieto di discriminazione secondo il cpv. 2 rappresenta un «principio di uguaglianza particolare» e costituisce in pratica l’essenza dell’art. 8 Cost. Per una disparità di trattamento fondata su una delle caratteristiche menzionate è richiesta una giustificazione qualificata. Questo significa che la disparità di trattamento deve essere nell’interesse pubblico e proporzionata allo scopo (cfr. art. 36 Cost.). Il divieto non presuppone un’intenzione discriminatoria e interessa sia le discriminazioni dirette che quelle indirette.

Approfondimento

Discriminazione indiretta

Si è in presenza di una discriminazione indiretta quando basi legali, politiche o pratiche apparentemente neutre sfociano in una disparità di trattamento illegittima.

Secondo il Tribunale federale, è data «una discriminazione indiretta [...] quando una regolamentazione che non contiene disposizioni manifestamente svantaggiose per gruppi protetti contro la discriminazione svantaggia però pesantemente nei fatti gli appartenenti a uno di questi gruppi senza alcuna giustificazione obiettiva». (DTF 129 I 217 consid. 2.1 pag. 224).

Approfondimento

Discriminazione diretta

Secondo il Tribunale federale si è in presenza di discriminazione diretta se una persona subisce una disparità di trattamento dovuta soltanto alla sua appartenenza a un gruppo che in passato è stato tendenzialmente emarginato e trattato come inferiore e lo è tuttora. L’Alta corte ritiene che la discriminazione rappresenti un tipo qualificato di disparità di trattamento di persone in situazioni paragonabili, in quanto svantaggia una persona in maniera umiliante ed emarginante unicamente a causa di un tratto distintivo che costituisce una parte determinante della sua identità e che non può essere abbandonato o può esserlo soltanto difficilmente. La discriminazione tocca pertanto anche aspetti della dignità umana. (DTF 126 II 377 consid. 6a pag. 392 seg.).

La discriminazione diretta va distinta dalla disparità di trattamento dovuta a criteri o motivi legittimi.

L’elenco delle caratteristiche di cui al cpv. 2 non è esaustivo. Per origine s’intende l’origine geografica, etnica, nazionale o culturale che ha plasmato l’identità del soggetto. Le differenziazioni a seconda della cittadinanza sono rette in primo luogo dal cpv. 1. Nel termine «razza», oggi alquanto obsoleto nell’Europa continentale, sono sussunte caratteristiche quali il colore della pelle o l’origine. Le caratteristiche lingua e convinzioni sono disciplinate anche in altri articoli (art. 18 Cost., libertà di lingua; art. 15 Cost., libertà di credo e di coscienza e art. 16 Cost., libertà d’opinione e d’informazione).

Nel diritto privato, una disdetta data per motivi razzisti è abusiva ai sensi dell’art. 336 cpv. 1 lett. a CO. È abusivo anche licenziare una persona perché pratica una determinata religione, poiché la libertà di religione rappresenta un diritto costituzionale (combinato disposto dell’art. 336 cpv. 1 lett. b CO e dell’art. 15 Cost.). Una disdetta è abusiva anche se pronunciata perché la persona interessata si è difesa da comportamenti razzisti (art. 336 cpv. 1 lett. d CO). In questo caso è leso il principio della buona fede (art. 2 cpv. 1 CC).

Approfondimento

Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio

1 La disdetta è abusiva se data:
a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.

Commento

In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.

Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.

Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.

Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.

Approfondimento

Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio

1 La disdetta è abusiva se data:
a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.

Commento

In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.

Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.

Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.

Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.

Approfondimento

Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio

1 La disdetta è abusiva se data:
a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.

Commento

In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.

Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.

Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.

Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.

Tuttavia, anche se abusiva, una disdetta ai sensi dell’art. 336 CO conserva la sua validità. La persona licenziata ha soltanto diritto a un’indennità.

Approfondimento

Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio

1 La disdetta è abusiva se data:
a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.

Commento

In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.

Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.

Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.

Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.

Le persone provenienti dall’area UE/AELS possono appellarsi al divieto di discriminazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 9 allegato I ALC e dell’art. 2 ALC sia presso i datori di lavoro pubblici sia presso quelli privati.

È importante contestare sin dall’inizio una violazione delle pertinenti norme internazionali. Se il ricorso è respinto dal tribunale di ultima istanza svizzero (di regola il Tribunale federale), vi è così la possibilità di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).

Approfondimento

Ricorso al diritto internazionale

Il ricorrente che non condivide la sentenza dell’ultima istanza (nella maggior parte dei casi il Tribunale federale) può, a determinate condizioni, adire un tribunale internazionale. In caso di discriminazione razziale, sarà principalmente la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).

Il ricorso dinanzi alla Corte EDU presuppone la censura di una violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dinanzi alla prima istanza nazionale e l’esaurimento delle vie di ricorso interne. Una violazione del divieto di discriminazione (art. 14 CEDU) può inoltre essere fatta valere soltanto in combinazione con una violazione di un altro diritto previsto dalla convenzione, quale il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) o il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9 CEDU). Per contro, una decisione può essere impugnata dinanzi al CERD una volta esaurite le vie di ricorso interne, anche senza una precedente censura e unicamente in ragione della violazione di una norma dell’ICERD.

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Modi di procedere e vie legali