La disdetta data da datori di lavoro di diritto pubblico a una persona per il colore della pelle o l’appartenenza etnica, nazionale o religiosa è abusiva. Altrettanto abusivo è licenziare una persona perché intende adire le vie legali per obbligare il suo datore di lavoro ad adottare adeguate misure di protezione contro il mobbing di stampo razzista.
È possibile impugnare una disdetta abusiva. Le vie legali sono disciplinate in modo diverso secondo i Cantoni e i Comuni. Eventuali scadenze devono essere rispettate.
Raccomandazione generale: è consigliabile raccogliere sin dall’inizio il maggior numero possibile di prove (p. es. corrispondenza, appunti di colloqui e indirizzi di eventuali testimoni), stampare e mettere al sicuro i mezzi di prova scritti. Attenzione: le registrazioni di conversazioni e le riprese video effettuate di nascosto sono punibili e non possono essere utilizzate come prova.
Reclamo presso un difensore civico cantonale o comunale
Se possibile, è consigliabile rivolgersi dapprima a un difensore civico. Se vi sono scadenze in corso, è opportuno avviare al contempo il procedimento legale ordinario, poiché il reclamo presso il difensore civico non ha effetto sospensivo sui termini. I difensori civici ricevono i reclami e fungono da mediatori tra la popolazione e l’amministrazione pubblica. L’obiettivo è proteggere le persone da comportamenti arbitrari e scorretti dell’amministrazione e di tutelare l’amministrazione da accuse ingiustificate. Di norma, i reclami possono essere presentati in forma scritta od orale. Il difensore civico verifica se l’amministrazione ha agito in modo inappropriato, prende posizione e cerca una soluzione soddisfacente per entrambe le parti. Ha un ampio potere di accertamento (consultazione degli atti, diritto d’informazione), ma non ha facoltà di impartire istruzioni o di disporre, non può infliggere multe o altre sanzioni, né revocare o modificare decisioni amministrative. Generalmente gode di un’alta considerazione presso le autorità e il suo intervento può produrre effetti anche senza facoltà formali.
Procedura amministrativa ordinaria (opposizione, ricorso, ricorso amministrativo, ricorso di diritto amministrativo)
La disdetta abusiva di un datore di lavoro pubblico può essere impugnata. Nell’istanza si dovrebbero esporre in dettaglio i motivi per cui si contesta all’autorità una discriminazione razziale. In questo modo, secondo la legge sul personale applicabile, è possibile chiedere un risarcimento sotto forma di riparazione morale. Altrimenti può essere chiesta una riparazione morale intentando un’azione per responsabilità dello Stato. L’importo è commisurato alla gravità dell’azione e alla colpa dell’autore e ammonta di regola ad alcune centinaia di franchi al massimo.
Secondo la legge federale sul personale, nel caso di una disdetta abusiva ai sensi dell’art. 336 CO, il datore di lavoro deve offrire alla persona interessata di riprendere il lavoro che svolgeva in precedenza oppure, se ciò non è possibile, proporle un altro lavoro ragionevolmente esigibile (art. 34c cpv. 1 LPers). Se, senza esserne direttamente responsabile, non può continuare a essere impiegata, la persona interessata ha diritto a un’indennità ai sensi dell’art. 19 cpv. 3 LPers.
La procedura e i rimedi giuridici variano secondo il diritto del personale e l’ente pubblico. I termini e le prescrizioni formali devono essere rispettati. I servizi di consulenza giuridica del proprio Cantone possono fornire informazioni in merito.
Approfondimento
Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio
1 La disdetta è abusiva se data:a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.
Commento
In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.
Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.
Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.
Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.
Ricorso all’autorità di vigilanza
Ogni persona, non solo quella direttamente interessata, può presentare un ricorso all’autorità di vigilanza, ossia di regola l’organo superiore all’organizzazione in questione. Il ricorso non è vincolato ad alcun termine o forma. Contrariamente al ricorso amministrativo, non è necessario che sia stata emessa una decisione. L’autorità di vigilanza non è tenuta a entrare nel merito del ricorso e generalmente lo fa soltanto in caso di reiterate violazioni del diritto. Si può tuttavia presupporre che nel caso di un’autorità sospettata di atti razzisti vi sia un serio interesse pubblico ad accertare i fatti. Il ricorso all’autorità di vigilanza è indicato soprattutto nel caso in cui nessun altro rimedio giuridico abbia buone probabilità di successo e vi siano reiterate violazioni del diritto. Attenzione: il ricorso all’autorità di vigilanza non ha effetto sospensivo su eventuali termini.
Azione di responsabilità dello Stato (responsabilità dello Stato per atti razzisti commessi da enti amministrativi)
Il procedimento per responsabilità va avviato soltanto se si hanno prove concrete di un danno materiale (p. es. perdita di guadagno) o immateriale (lesione della personalità). In alcuni casi il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile dell’atto razzista. La Confederazione, i Cantoni e i Comuni hanno regolamenti diversi. L’importo di un eventuale risarcimento è commisurato alla gravità della lesione e alla colpa dell’autore e ammonta di regola ad alcune centinaia di franchi al massimo. Maggiori informazioni sulla responsabilità dello Stato (in tedesco).