La discriminazione razziale può manifestarsi in ogni fase del rapporto di lavoro, dall’inserzione di lavoro discriminatoria, alla discriminazione nella procedura di selezione, ai termini discriminatori del contratto, passando per le osservazioni razziste tra colleghi e gli episodi di mobbing a sfondo razzista, fino alla disdetta per motivi razzisti e agli atti di stampo razzista dopo la fine del rapporto di lavoro.
Numerose disposizioni legali proteggono le persone dalla discriminazione razziale nel mondo del lavoro. Gli impieghi nel settore privato sono retti dal diritto privato (rapporto di lavoro di diritto privato). Di particolare di rilievo in questo contesto sono la protezione dalla discriminazione sul lavoro prevista dal Codice delle obbligazioni (CO) e dal Codice civile (CC). Gli impieghi statali (Confederazione, Cantoni, Comuni e altri enti amministrativi) sono retti in primo luogo dal diritto pubblico (rapporto di lavoro di diritto pubblico). Diversamente da quelli privati, i datori di lavoro pubblici sono vincolati ai diritti fondamentali della Costituzione federale (Cost.)
Approfondimento
Rapporto di lavoro di diritto pubblico
La Confederazione, i Cantoni, i Comuni e le aziende di diritto pubblico quali le FFS o la Posta hanno emanato leggi e ordinanze proprie sul personale, come pure direttive e regolamenti sulla protezione dei dati. Pur non prevedendo divieti espliciti della discriminazione razziale, questi atti contengono di norma indicazioni sulla protezione contro le lesioni della personalità e clausole contro la disdetta abusiva. Le leggi sul personale rimandano spesso anche alle disposizioni del diritto privato (cfr. art. 328 e art. 336 CO).Approfondimento
Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio
1 La disdetta è abusiva se data:a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.
Commento
In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.
Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.
Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.
Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.
Se le leggi sul personale non offrono una protezione sufficiente, si applicano i divieti di discriminazione sanciti dalla Costituzione federale (cfr. art. 8 cpv. 2 Cost.) o dal diritto internazionale. Questi divieti sono rilevanti soprattutto in caso di discriminazione nella selezione dei candidati, di non assunzione per motivi discriminatori, di contratto discriminatorio e di discriminazione durante il rapporto di lavoro. Anche il principio costituzionale della buona fede vincola il datore di lavoro a un comportamento non discriminatorio nei confronti dei lavoratori (art. 5 cpv. 3 Cost.). Gli enti pubblici sono inoltre vincolati ai diritti fondamentali, quali la libertà di religione (art. 15 Cost.), la protezione della sfera privata (art. 13 Cost.) e la libertà di lingua (art. 18 Cost.).
Approfondimento
Art. 8 Cost. – Uguaglianza giuridica
1 Tutti sono uguali davanti alla legge.2 Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche.
3 Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.
4 La legge prevede provvedimenti per eliminare svantaggi esistenti nei confronti dei disabili.
Commento
Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) e il divieto generale di discriminazione (cpv. 2) sono rilevanti ai fini della lotta contro la discriminazione razziale. Si tratta di diritti costituzionali che possono essere invocati da tutte le persone fisiche (privati), indipendentemente dalla loro cittadinanza. Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) vale anche per le persone giuridiche (imprese, società di capitali, associazioni, fondazioni ecc.).
L’art. 8 Cost. interessa tutti i livelli statali (Confederazione, Cantoni, Comuni e altri enti amministrativi) e comprende sia la legislazione che l’applicazione del diritto. Il disciplinamento è tuttavia vincolante unicamente per lo Stato; tra privati è applicabile soltanto in misura molto limitata.
L’uguaglianza giuridica secondo il cpv. 1 non ha valore assoluto. In presenza di motivi obiettivi, una disparità di trattamento può essere legittima e ammessa, se non addirittura necessaria. L’aiuto sociale prevede, ad esempio, prestazioni diverse a seconda dello statuto di soggiorno.
Il divieto di discriminazione secondo il cpv. 2 rappresenta un «principio di uguaglianza particolare» e costituisce in pratica l’essenza dell’art. 8 Cost. Per una disparità di trattamento fondata su una delle caratteristiche menzionate è richiesta una giustificazione qualificata. Questo significa che la disparità di trattamento deve essere nell’interesse pubblico e proporzionata allo scopo (cfr. art. 36 Cost.). Il divieto non presuppone un’intenzione discriminatoria e interessa sia le discriminazioni ABSATZ19dirette che quelle ABSATZ20indirette.
L’elenco delle caratteristiche di cui al cpv. 2 non è esaustivo. Per origine s’intende l’origine geografica, etnica, nazionale o culturale che ha plasmato l’identità del soggetto. Le differenziazioni a seconda della cittadinanza sono rette in primo luogo dal cpv. 1. Nel termine «razza», oggi alquanto obsoleto nell’Europa continentale, sono sussunte caratteristiche quali il colore della pelle o l’origine. Le caratteristiche lingua e convinzioni sono disciplinate anche in altri articoli (art. 18 Cost., libertà di lingua; art. 15 Cost., libertà di credo e di coscienza e art. 16 Cost., libertà d’opinione e d’informazione).
Le osservazioni e la violenza razziste costituiscono una violazione della personalità secondo il diritto civile. In alcuni casi la persona interessata può quindi optare anche per la via giudiziaria civile o intentare un’azione per responsabilità dello Stato.
Le osservazioni discriminatorie di stampo razzista in presenza di persone che non fanno parte della cerchia ristretta di conoscenze sono sanzionabili, a seconda della gravità, con una pena pecuniaria o una pena detentiva (art. 261bis CP). In determinate circostanze, si applicano anche altre disposizioni penali (p. es. art. 177 CP, ingiuria; art. 122 segg. CP, lesioni personali, art. 180 CP, minaccia).
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Art. 261bis CP – Discriminazione razziale
1 Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale;2 chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
3 chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
4 chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orienatamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità;
5 chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,
6 è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
Commento
I cpv. 1–3 menzionano svariate forme di istigazione pubblica al razzismo (l’incitazione all’odio e la diffusione di ideologie razziste). I cpv. 4 e 5, invece, disciplinano la discriminazione diretta di una persona o di un gruppo di persone.
L’art. 261bis CP protegge in primo luogo la dignità umana (cfr. art. 7 Cost.) e di conseguenza anche la pace pubblica, in quanto volta ad assicurare una convivenza pacifica e sicura della popolazione. La dignità umana è violata quando una persona o un gruppo di persone sono lese nell’essenza della loro personalità, ovvero quando sono definite inferiori o quando è loro negata la qualità di essere umano o il diritto alla vita. L’atto deve quindi essere di una certa gravità.
L’art. 261bis CP punisce soltanto le discriminazioni fondate sulla ABSATZ13«razza», sull’etnia, sulla religione o sull'orientamento sessuale; l’appartenenza nazionale e la cittadinanza non sono protette.
L’art. 261bis CP punisce soltanto gli atti pubblici. Secondo il Tribunale federale, gli atti o i commenti sono da considerarsi pubblici ai sensi dell’art. 261bis CP quando avvengono «al di fuori dell’ambito privato». Per commenti e atti privati è da intendersi ciò che è espresso nel seno della cerchia familiare, di un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da particolare confidenza. Per giudicare se un atto sia da considerarsi commesso in una cerchia privata, occorre tenere conto delle circostanze concrete. Il numero delle persone presenti può ovviamente giocare un ruolo, ma da solo non basta per configurare un atto pubblico (DTF 130 IV 111, 119 seg., consid. 5.2.2). È di per sé sufficiente la sola possibilità concreta che un osservatore abbia assistito all’episodio di stampo razzista (DTF 133 IV 308, 319, consid. 9.1). A determinate condizioni, in mancanza del carattere pubblico, possono essere fatte valere altre fattispecie penali, quali l’ingiuria (art. 177 CP) o le lesioni personali (art. 122 segg. CP).
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Rapporto di lavoro di diritto privato
I rapporti di diritto privato sono soggetti a regole meno severe rispetto a quelli di diritto pubblico, poiché vi si applica il principio della libertà contrattuale. Le disposizioni generali del CO pongono tuttavia dei limiti alla libertà contrattuale. L’obbligo di assistenza impone ai datori di lavoro di proteggere i propri impiegati dalla discriminazione razziale (art. 328 CO). La protezione dalla disdetta tutela dal licenziamento abusivo fondato, ad esempio, sull’appartenenza religiosa, sul colore della pelle o sull’origine regionale (art. 336 CO). La protezione della personalità prevista dal diritto civile protegge contro le osservazioni razziste e la violenza razziale (art. 28 CC). Permette inoltre di ricorrere contro una mancata assunzione per motivi di discriminazione razziale.Approfondimento
Art. 28 CC – Protezione della personalità – Contro lesioni illecite – Principio
1 Chi è illecitamente leso nella sua personalità può, a sua tutela, chiedere l’intervento del giudice contro chiunque partecipi all’offesa.2 La lesione è illecita quando non è giustificata dal consenso della persona lesa, da un interesse preponderante pubblico o privato, oppure dalla legge.
Commento
L’art. 28 CC protegge le persone fisiche e quelle giuridiche da osservazioni o atti di terzi lesivi della personalità. La nozione di personalità comprende l’insieme dei valori fondamentali individuali di una persona. Ne sono protette sia l’esistenza in quanto tale sia le specificità individuali.
Possono essere lese la personalità fisica, la personalità emozionale o psichica, la personalità sociale (p. es. la sfera privata e l’autodeterminazione informativa), l’onore o la personalità economica.
Una lesione della personalità secondo l’art. 28 CC è data soltanto in presenza di un’offesa di una certa gravità. La lesione della personalità deve inoltre essere illecita (ovvero non giustificata). La lesione non è illecita se, ad esempio, è giustificata dal consenso della persona lesa o da un interesse preponderante pubblico o privato (p. es. l’interesse del pubblico ad essere informato). Occorre quindi chiedersi se sia effettivamente data una lesione della personalità ai sensi della legge e, in caso affermativo, se sussistano motivi che la giustifichino. La colpa del convenuto non è tuttavia presupposta.
È autorizzato a chiedere l’intervento del giudice soltanto chi è direttamente leso nella sua personalità. L’attore può chiedere che la lesione della personalità sia fatta cessare, accertata o proibita (art. 28a cpv. 1 n. 1–3 CC). Può chiedere in particolare la pubblicazione di una rettifica dell’osservazione razzista o eventualmente della sentenza contro il convenuto. Se possibile, la pubblicazione deve raggiungere lo stesso pubblico che ha preso atto dell’osservazione lesiva della personalità dell’interessato. A determinate condizioni, chi è leso nella sua personalità dall’esposizione di fatti ad opera dei media ha il diritto di rispondere con una propria esposizione dei fatti (art. 28g CC).
L’art. 328 CO disciplina la protezione della personalità del lavoratore.
Maggiori informazioni sui delitti contro l’onore(in tedesco).
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Art. 336 CO – Fine del rapporto di lavoro – Protezione dalla disdetta – Disdetta abusiva – Principio
1 La disdetta è abusiva se data:a. per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario, salvo che tale ragione sia connessa con il rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
b. perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, salvo che tale esercizio leda un obbligo derivante dal rapporto di lavoro o pregiudichi in modo essenziale la collaborazione nell’azienda;
c. soltanto per vanificare l’insorgere di pretese del destinatario derivanti dal rapporto di lavoro;
d. perché il destinatario fa valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro;
e. perché il destinatario presta servizio obbligatorio svizzero, militare o di protezione civile, oppure servizio civile svizzero o adempie un obbligo legale non assunto volontariamente.
2 La disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva segnatamente se data:
a. per l’appartenenza o la non appartenenza del lavoratore a un’associazione di lavoratori o per il legittimo esercizio di un’attività sindacale da parte del lavoratore;
b. durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta;
c. nel quadro di un licenziamento collettivo, qualora non siano stati consultati la rappresentanza dei lavoratori o, in mancanza, i lavoratori medesimi (art. 335f).
3 Nei casi previsti dal capoverso 2 lettera b, la tutela dei rappresentanti dei lavoratori il cui mandato sia cessato in seguito al trasferimento del rapporto di lavoro (art. 333) continua fino al momento in cui il mandato sarebbe cessato se non fosse sopravvenuto il trasferimento del rapporto di lavoro.
Commento
In linea di principio, il rapporto di lavoro prevede il libero esercizio del diritto di disdetta. L’art. 336 CO prevede tuttavia casi in cui la disdetta è abusiva. Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate, l’elenco dei motivi di disdetta abusivi non è esaustivo. Il carattere abusivo della disdetta va accertato nel singolo caso.
Per quanto riguarda la discriminazione razziale sono rilevanti in particolare il cpv. 1 lett. a, b e d. Secondo il cpv. 1 lett. a, la disdetta è abusiva se data per una ragione intrinseca alla personalità del destinatario (p. es. una caratteristica fisica, l’appartenenza religiosa o la nazionalità). La disdetta può non essere abusiva laddove la caratteristica pregiudica gravemente il clima di lavoro nell’azienda e il datore di lavoro ha adottato tutti i provvedimenti esigibili per migliorare la situazione.
Secondo il cpv. 1 lett. b, la disdetta è abusiva se data perché il destinatario esercita un diritto costituzionale, quale la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.) o la libertà d’opinione e d’informazione (art. 16 Cost.). In linea di principio, quindi, la disdetta data a una donna musulmana perché porta il velo è abusiva. Anche in questo caso, tuttavia, il licenziamento non è abusivo se l’esercizio del diritto costituzionale pregiudica gravemente il clima di lavoro o viola un obbligo di lavoro.
È inoltre abusivo licenziare una persona perché fa valere pretese derivanti dal rapporto di lavoro (cpv. 1 lett. d, il cosiddetto «licenziamento ritorsivo»). Può essere, ad esempio, il caso se la persona interessata si è difesa contro atti di discriminazione razziale o ha chiesto al datore di lavoro l’adozione di adeguate misure di protezione dal mobbing di stampo razzista.
Una disdetta abusiva resta comunque effettiva; ne derivano soltanto pretese d’indennità. Secondo l’art. 336a cpv. 2 CO, l’indennità non deve superare sei mesi di salario del lavoratore. Se la disdetta è data nel quadro di un licenziamento collettivo (art. 336 cpv. 2 lett. c CO), l’indennità ammonta invece al massimo a due mesi di salario.
Una disdetta può essere abusiva e violare al contempo i tempi protetti (art. 336c CO). Le conseguenze giuridiche di una simile situazione devono essere accertate nei singoli casi (nullità o validità della disdetta). La disdetta può essere abusiva anche se data durante il periodo di prova.
Le osservazioni discriminatorie di stampo razzista in presenza di persone che non fanno parte della cerchia ristretta di conoscenze sono sanzionabili, a seconda della gravità, con una pena pecuniaria o una pena detentiva (art. 261bis CP). In determinate circostanze, si applicano anche altre disposizioni penali (p. es. art. 177 CP, ingiuria; art. 122 segg. CP, lesioni personali, art. 180 CP, minaccia).
Approfondimento
Art. 261bis CP – Discriminazione razziale
1 Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale;2 chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
3 chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
4 chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orienatamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità;
5 chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,
6 è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
Commento
I cpv. 1–3 menzionano svariate forme di istigazione pubblica al razzismo (l’incitazione all’odio e la diffusione di ideologie razziste). I cpv. 4 e 5, invece, disciplinano la discriminazione diretta di una persona o di un gruppo di persone.
L’art. 261bis CP protegge in primo luogo la dignità umana (cfr. art. 7 Cost.) e di conseguenza anche la pace pubblica, in quanto volta ad assicurare una convivenza pacifica e sicura della popolazione. La dignità umana è violata quando una persona o un gruppo di persone sono lese nell’essenza della loro personalità, ovvero quando sono definite inferiori o quando è loro negata la qualità di essere umano o il diritto alla vita. L’atto deve quindi essere di una certa gravità.
L’art. 261bis CP punisce soltanto le discriminazioni fondate sulla ABSATZ13«razza», sull’etnia, sulla religione o sull'orientamento sessuale; l’appartenenza nazionale e la cittadinanza non sono protette.
L’art. 261bis CP punisce soltanto gli atti pubblici. Secondo il Tribunale federale, gli atti o i commenti sono da considerarsi pubblici ai sensi dell’art. 261bis CP quando avvengono «al di fuori dell’ambito privato». Per commenti e atti privati è da intendersi ciò che è espresso nel seno della cerchia familiare, di un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da particolare confidenza. Per giudicare se un atto sia da considerarsi commesso in una cerchia privata, occorre tenere conto delle circostanze concrete. Il numero delle persone presenti può ovviamente giocare un ruolo, ma da solo non basta per configurare un atto pubblico (DTF 130 IV 111, 119 seg., consid. 5.2.2). È di per sé sufficiente la sola possibilità concreta che un osservatore abbia assistito all’episodio di stampo razzista (DTF 133 IV 308, 319, consid. 9.1). A determinate condizioni, in mancanza del carattere pubblico, possono essere fatte valere altre fattispecie penali, quali l’ingiuria (art. 177 CP) o le lesioni personali (art. 122 segg. CP).
Ai rapporti di lavoro sia di diritto pubblico sia di diritto privato concernenti l’area UE/AELS si applicano le disposizioni dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE (ALC).
Inserzione di lavoro discriminatoria
Osservazioni razziste durante il colloquio di presentazione
Discriminazione all’assunzione
Osservazioni, vie di fatto e mobbing a sfondo razzista
Discriminazione nell’assegnazione del lavoro
Discriminazione nella promozione e nella carriera