Esempio: l’amministrazione non accetta un Senegalese come sublocatario perché «con questa gente si hanno di continuo problemi».
Il locatario può sublocare in tutto o in parte la cosa con il consenso del locatore (art. 262 OR). La sublocazione presuppone tuttavia il consenso del locatore (scritto, verbale o tacito con accettazione a posteriori). Se il consenso è negato a causa della «razza», dell’etnia, della religione, della provenienza nazionale o regionale del sublocatario, si configura un rifiuto della sublocazione privo di effetti giuridici. Il consenso può infatti essere negato soltanto se (art. 262 cpv. 2 CO):
- il locatario rifiuta di comunicare al locatore le condizioni della sublocazione;
- le condizioni della sublocazione, comparate con quelle del contratto principale di locazione, sono abusive (p. es. canone d’affitto esagerato);
- la sublocazione causa al locatore un pregiudizio essenziale (p. es. perché il sublocatore intende utilizzare l’abitazione per attività illegali).
Illecito è anche il ritiro del consenso a posteriori senza motivi oggettivi.
Approfondimento
«Razza»
Il costrutto sociale di «razza» non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte peculiarità culturali, religiose o inerenti all’origine. Ecco perché, ad esempio, differenze di status socio-economico sono «spiegate» come biologicamente date con l’appartenenza etnica, culturale o religiosa.
Al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, nell’Europa continentale il concetto di «razza» è stigmatizzato come costrutto fondante del razzismo e perlopiù usato tra virgolette. Il termine è tuttavia diffuso nelle convenzioni internazionali ed è per questo impiegato anche nell’[POPUP144]art. 8 Cost. e nell’[POPUP145]art. 261bis CP per definire una caratteristica sulla base della quale è vietato discriminare.
È importante contestare sin dall’inizio una violazione delle pertinenti norme internazionali. Se il ricorso è respinto dal tribunale di ultima istanza svizzero (di regola il Tribunale federale), vi è così la possibilità di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).
Approfondimento
Ricorso al diritto internazionale
Il ricorrente che non condivide la sentenza dell’ultima istanza (nella maggior parte dei casi il Tribunale federale) può, a determinate condizioni, adire un tribunale internazionale. In caso di discriminazione razziale, sarà principalmente la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).Il ricorso dinanzi alla Corte EDU presuppone la censura di una violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dinanzi alla prima istanza nazionale e l’esaurimento delle vie di ricorso interne. Una violazione del divieto di discriminazione (art. 14 CEDU) può inoltre essere fatta valere soltanto in combinazione con una violazione di un altro diritto previsto dalla convenzione, quale il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) o il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9 CEDU). Per contro, una decisione può essere impugnata dinanzi al CERD una volta esaurite le vie di ricorso interne, anche senza una precedente censura e unicamente in ragione della violazione di una norma dell’ICERD.
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