Esempio: una maestra d’asilo ritiene che un bambino turco abbia «atteggiamenti da macho musulmano» e per questo motivo non ne raccomanda l’inserimento nella scuola regolare malgrado possieda un’intelligenza normale. A posteriori, si scopre che l’insegnante ha più volte espresso giudizi sprezzanti sui musulmani. La maestra della scuola speciale alla quale è stato assegnato il bambino conferma di non aver notato in lui alcun comportamento sociale deviante.
Allievi e studenti hanno diritto a un’istruzione senza discriminazioni (art. 8 cpv. 2 Cost.). I Cantoni provvedono a garantire a tutti i giovani, compresi quelli senza diritto di soggiorno, un’istruzione scolastica di base sufficiente e gratuita (combinato disposto dell’art. 19 Cost. e dell’art. 62 Cost.). La formazione professionale e le scuole universitarie sono di competenza della Confederazione (art. 63 seg. Cost.). A livello cantonale si applica la pertinente legislazione sulle scuole universitarie.
Approfondimento
Art. 8 Cost. – Uguaglianza giuridica
1 Tutti sono uguali davanti alla legge.2 Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età , della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche.
3 Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.
4 La legge prevede provvedimenti per eliminare svantaggi esistenti nei confronti dei disabili.
Commento
Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) e il divieto generale di discriminazione (cpv. 2) sono rilevanti ai fini della lotta contro la discriminazione razziale. Si tratta di diritti costituzionali che possono essere invocati da tutte le persone fisiche (privati), indipendentemente dalla loro cittadinanza. Il principio generale dell’uguaglianza giuridica (cpv. 1) vale anche per le persone giuridiche (imprese, società di capitali, associazioni, fondazioni ecc.).
L’art. 8 Cost. interessa tutti i livelli statali (Confederazione, Cantoni, Comuni e altri enti amministrativi) e comprende sia la legislazione che l’applicazione del diritto. Il disciplinamento è tuttavia vincolante unicamente per lo Stato; tra privati è applicabile soltanto in misura molto limitata.
L’uguaglianza giuridica secondo il cpv. 1 non ha valore assoluto. In presenza di motivi obiettivi, una disparità di trattamento può essere legittima e ammessa, se non addirittura necessaria. L’aiuto sociale prevede, ad esempio, prestazioni diverse a seconda dello statuto di soggiorno.
Il divieto di discriminazione secondo il cpv. 2 rappresenta un «principio di uguaglianza particolare» e costituisce in pratica l’essenza dell’art. 8 Cost. Per una disparità di trattamento fondata su una delle caratteristiche menzionate è richiesta una giustificazione qualificata. Questo significa che la disparità di trattamento deve essere nell’interesse pubblico e proporzionata allo scopo (cfr. art. 36 Cost.). Il divieto non presuppone un’intenzione discriminatoria e interessa sia le discriminazioni dirette che quelle indirette.
Approfondimento
Discriminazione indiretta
Si è in presenza di una discriminazione indiretta quando basi legali, politiche o pratiche apparentemente neutre sfociano in una disparità di trattamento illegittima.
Secondo il Tribunale federale, è data «una discriminazione indiretta [...] quando una regolamentazione che non contiene disposizioni manifestamente svantaggiose per gruppi protetti contro la discriminazione svantaggia però pesantemente nei fatti gli appartenenti a uno di questi gruppi senza alcuna giustificazione obiettiva». (DTF 129 I 217 consid. 2.1 pag. 224).
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Discriminazione diretta
Secondo il Tribunale federale si è in presenza di discriminazione diretta se una persona subisce una disparità di trattamento dovuta soltanto alla sua appartenenza a un gruppo che in passato è stato tendenzialmente emarginato e trattato come inferiore e lo è tuttora. L’Alta corte ritiene che la discriminazione rappresenti un tipo qualificato di disparità di trattamento di persone in situazioni paragonabili, in quanto svantaggia una persona in maniera umiliante ed emarginante unicamente a causa di un tratto distintivo che costituisce una parte determinante della sua identità e che non può essere abbandonato o può esserlo soltanto difficilmente. La discriminazione tocca pertanto anche aspetti della dignità umana. (DTF 126 II 377 consid. 6a pag. 392 seg.).
La discriminazione diretta va distinta dalla disparità di trattamento dovuta a criteri o motivi legittimi.
L’elenco delle caratteristiche di cui al cpv. 2 non è esaustivo. Per origine s’intende l’origine geografica, etnica, nazionale o culturale che ha plasmato l’identità del soggetto. Le differenziazioni a seconda della cittadinanza sono rette in primo luogo dal cpv. 1. Nel termine «razza», oggi alquanto obsoleto nell’Europa continentale, sono sussunte caratteristiche quali il colore della pelle o l’origine. Le caratteristiche lingua e convinzioni sono disciplinate anche in altri articoli (art. 18 Cost., libertà di lingua; art. 15 Cost., libertà di credo e di coscienza e art. 16 Cost., libertà d’opinione e d’informazione).
Nel settore della formazione e della formazione continua private la protezione dalla discriminazione è meno estesa. Le scuole private di ispirazione religiosa sono, ad esempio, libere di vincolare l’ammissione di un allievo alla confessione. Un rifiuto motivato esclusivamente o prevalentemente dalla «razza» o dall’etnia del candidato costituisce tuttavia una lesione della personalità (art. 28 CC) e, a seconda delle circostanze, anche un rifiuto discriminatorio di un servizio (art. 261bis cpv. 5 CP)
Approfondimento
Art. 261bis CP – Discriminazione razziale
1 Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale;2 chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
3 chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
4 chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orienatamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità ;
5 chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,
6 è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
Commento
I cpv. 1–3 menzionano svariate forme di istigazione pubblica al razzismo (l’incitazione all’odio e la diffusione di ideologie razziste). I cpv. 4 e 5, invece, disciplinano la discriminazione diretta di una persona o di un gruppo di persone.
L’art. 261bis CP protegge in primo luogo la dignità umana (cfr. art. 7 Cost.) e di conseguenza anche la pace pubblica, in quanto volta ad assicurare una convivenza pacifica e sicura della popolazione. La dignità umana è violata quando una persona o un gruppo di persone sono lese nell’essenza della loro personalità , ovvero quando sono definite inferiori o quando è loro negata la qualità di essere umano o il diritto alla vita. L’atto deve quindi essere di una certa gravità .
L’art. 261bis CP punisce soltanto le discriminazioni fondate sulla «razza», sull’etnia, sulla religione o sull'orientamento sessuale; l’appartenenza nazionale e la cittadinanza non sono protette.
Approfondimento
«Razza»
Il costrutto sociale di «razza» non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte peculiarità culturali, religiose o inerenti all’origine. Ecco perché, ad esempio, differenze di status socio-economico sono «spiegate» come biologicamente date con l’appartenenza etnica, culturale o religiosa.
Al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, nell’Europa continentale il concetto di «razza» è stigmatizzato come costrutto fondante del razzismo e perlopiù usato tra virgolette. Il termine è tuttavia diffuso nelle convenzioni internazionali ed è per questo impiegato anche nell’art. 8 Cost. e nell’art. 261bis CP per definire una caratteristica sulla base della quale è vietato discriminare.
L’art. 261bis CP punisce soltanto gli atti pubblici. Secondo il Tribunale federale, gli atti o i commenti sono da considerarsi pubblici ai sensi dell’art. 261bis CP quando avvengono «al di fuori dell’ambito privato». Per commenti e atti privati è da intendersi ciò che è espresso nel seno della cerchia familiare, di un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da particolare confidenza. Per giudicare se un atto sia da considerarsi commesso in una cerchia privata, occorre tenere conto delle circostanze concrete. Il numero delle persone presenti può ovviamente giocare un ruolo, ma da solo non basta per configurare un atto pubblico (DTF 130 IV 111, 119 seg., consid. 5.2.2). È di per sé sufficiente la sola possibilità concreta che un osservatore abbia assistito all’episodio di stampo razzista (DTF 133 IV 308, 319, consid. 9.1). A determinate condizioni, in mancanza del carattere pubblico, possono essere fatte valere altre fattispecie penali, quali l’ingiuria (art. 177 CP) o le lesioni personali (art. 122 segg. CP).
Approfondimento
Art. 28 CC – Protezione della personalità – Contro lesioni illecite – Principio
1 Chi è illecitamente leso nella sua personalità può, a sua tutela, chiedere l’intervento del giudice contro chiunque partecipi all’offesa.2 La lesione è illecita quando non è giustificata dal consenso della persona lesa, da un interesse preponderante pubblico o privato, oppure dalla legge.
Commento
L’art. 28 CC protegge le persone fisiche e quelle giuridiche da osservazioni o atti di terzi lesivi della personalità . La nozione di personalità comprende l’insieme dei valori fondamentali individuali di una persona. Ne sono protette sia l’esistenza in quanto tale sia le specificità individuali.
Possono essere lese la personalità fisica, la personalità emozionale o psichica, la personalità sociale (p. es. la sfera privata e l’autodeterminazione informativa), l’onore o la personalità economica.
Una lesione della personalità secondo l’art. 28 CC è data soltanto in presenza di un’offesa di una certa gravità . La lesione della personalità deve inoltre essere illecita (ovvero non giustificata). La lesione non è illecita se, ad esempio, è giustificata dal consenso della persona lesa o da un interesse preponderante pubblico o privato (p. es. l’interesse del pubblico ad essere informato). Occorre quindi chiedersi se sia effettivamente data una lesione della personalità ai sensi della legge e, in caso affermativo, se sussistano motivi che la giustifichino. La colpa del convenuto non è tuttavia presupposta.
È autorizzato a chiedere l’intervento del giudice soltanto chi è direttamente leso nella sua personalità . L’attore può chiedere che la lesione della personalità sia fatta cessare, accertata o proibita (art. 28a cpv. 1 n. 1–3 CC). Può chiedere in particolare la pubblicazione di una rettifica dell’osservazione razzista o eventualmente della sentenza contro il convenuto. Se possibile, la pubblicazione deve raggiungere lo stesso pubblico che ha preso atto dell’osservazione lesiva della personalità dell’interessato. A determinate condizioni, chi è leso nella sua personalità dall’esposizione di fatti ad opera dei media ha il diritto di rispondere con una propria esposizione dei fatti (art. 28g CC).
L’art. 328 CO disciplina la protezione della personalità del lavoratore.
Maggiori informazioni sui delitti contro l’onore(in tedesco).
Approfondimento
«Razza»
Il costrutto sociale di «razza» non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte peculiarità culturali, religiose o inerenti all’origine. Ecco perché, ad esempio, differenze di status socio-economico sono «spiegate» come biologicamente date con l’appartenenza etnica, culturale o religiosa.
Al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, nell’Europa continentale il concetto di «razza» è stigmatizzato come costrutto fondante del razzismo e perlopiù usato tra virgolette. Il termine è tuttavia diffuso nelle convenzioni internazionali ed è per questo impiegato anche nell’[POPUP144]art. 8 Cost. e nell’[POPUP145]art. 261bis CP per definire una caratteristica sulla base della quale è vietato discriminare.
È importante contestare sin dall’inizio una violazione delle pertinenti norme internazionali. Se il ricorso è respinto dal tribunale di ultima istanza svizzero (di regola il Tribunale federale), vi è così la possibilità di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).
Approfondimento
Ricorso al diritto internazionale
Il ricorrente che non condivide la sentenza dell’ultima istanza (nella maggior parte dei casi il Tribunale federale) può, a determinate condizioni, adire un tribunale internazionale. In caso di discriminazione razziale, sarà principalmente la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) o il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD).Il ricorso dinanzi alla Corte EDU presuppone la censura di una violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dinanzi alla prima istanza nazionale e l’esaurimento delle vie di ricorso interne. Una violazione del divieto di discriminazione (art. 14 CEDU) può inoltre essere fatta valere soltanto in combinazione con una violazione di un altro diritto previsto dalla convenzione, quale il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) o il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9 CEDU). Per contro, una decisione può essere impugnata dinanzi al CERD una volta esaurite le vie di ricorso interne, anche senza una precedente censura e unicamente in ragione della violazione di una norma dell’ICERD.