Internet e media

Affermazioni razziste e discriminazioni razziali sono presenti sia nei media tradizionali sia in quelli nuovi, per esempio sotto forma di lettere dei lettori, articoli di giornale, comunicati stampa o post su siti web e blog a contenuto istigatorio. In questo contesto si parla spesso di discorsi d’odio, ossia di insulti razzisti o addirittura di campagne denigratorie che fomentano l’odio contro determinati gruppi di popolazione. Le invettive razziste possono prendere di mira anche una persona ben precisa. Scheda informativa della Corte EDU(in inglese).

Approfondimento

Discorso d’odio (hate speech)

Per «discorsi d’odio» s’intendono invettive rivolte direttamente ai destinatari o espresse ad altri che denigrano persone o gruppi di persone ledendone la dignità umana o diffamandoli sulla base di una loro caratteristica malvista (p. es. l’origine, la disabilità, l’età, il sesso, l’orientamento o l’identità sessuale ecc.) oppure che incitano all’odio nei loro confronti.

Attualmente non esiste una definizione giuridica unitaria di questo concetto complesso né a livello nazionale né a livello internazionale. In Svizzera, il discorso d’odio razzista secondo l’art. 4 ICERD è perseguibile penalmente (art. 261bis CP).

Approfondimento

Art. 261bis CP – Discriminazione razziale

1 Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale;
2 chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
3 chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
4 chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orienatamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità;
5 chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,
6 è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

Commento

I cpv. 1–3 menzionano svariate forme di istigazione pubblica al razzismo (l’incitazione all’odio e la diffusione di ideologie razziste). I cpv. 4 e 5, invece, disciplinano la discriminazione diretta di una persona o di un gruppo di persone.

L’art. 261bis CP protegge in primo luogo la dignità umana (cfr. art. 7 Cost.) e di conseguenza anche la pace pubblica, in quanto volta ad assicurare una convivenza pacifica e sicura della popolazione. La dignità umana è violata quando una persona o un gruppo di persone sono lese nell’essenza della loro personalità, ovvero quando sono definite inferiori o quando è loro negata la qualità di essere umano o il diritto alla vita. L’atto deve quindi essere di una certa gravità.

L’art. 261bis CP punisce soltanto le discriminazioni fondate sulla «razza», sull’etnia, sulla religione o sull'orientamento sessuale; l’appartenenza nazionale e la cittadinanza non sono protette.

Approfondimento

«Razza»

Il costrutto sociale di «razza» non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte peculiarità culturali, religiose o inerenti all’origine. Ecco perché, ad esempio, differenze di status socio-economico sono «spiegate» come biologicamente date con l’appartenenza etnica, culturale o religiosa.

Al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, nell’Europa continentale il concetto di «razza» è stigmatizzato come costrutto fondante del razzismo e perlopiù usato tra virgolette. Il termine è tuttavia diffuso nelle convenzioni internazionali ed è per questo impiegato anche nell’art. 8 Cost. e nell’art. 261bis CP per definire una caratteristica sulla base della quale è vietato discriminare.

L’art. 261bis CP punisce soltanto gli atti pubblici. Secondo il Tribunale federale, gli atti o i commenti sono da considerarsi pubblici ai sensi dell’art. 261bis CP quando avvengono «al di fuori dell’ambito privato». Per commenti e atti privati è da intendersi ciò che è espresso nel seno della cerchia familiare, di un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da particolare confidenza. Per giudicare se un atto sia da considerarsi commesso in una cerchia privata, occorre tenere conto delle circostanze concrete. Il numero delle persone presenti può ovviamente giocare un ruolo, ma da solo non basta per configurare un atto pubblico (DTF 130 IV 111, 119 seg., consid. 5.2.2). È di per sé sufficiente la sola possibilità concreta che un osservatore abbia assistito all’episodio di stampo razzista (DTF 133 IV 308, 319, consid. 9.1). A determinate condizioni, in mancanza del carattere pubblico, possono essere fatte valere altre fattispecie penali, quali l’ingiuria (art. 177 CP) o le lesioni personali (art. 122 segg. CP).

I discorsi d’odio sono diffusi soprattutto in Internet, il che spesso ne rende difficile il perseguimento.

Le invettive razziste sono illegali nel mondo virtuale quanto in quello reale: se sono dirette contro una determinata persona (cosiddetto cybermobbing) costituiscono una lesione della personalità ai sensi del Codice civile (art. 28 CC) e se sono formulate su una piattaforma on-line considerata pubblica possono violare anche la norma penale contro il razzismo (art. 261bis CP). Dato che spesso i contenuti punibili si trovano su server ubicati all’estero, le autorità svizzere di norma non possono intervenire direttamente, il che rende più difficile il perseguimento penale degli autori.

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Art. 261bis CP – Discriminazione razziale

1 Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale;
2 chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
3 chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
4 chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orienatamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità;
5 chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,
6 è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

Commento

I cpv. 1–3 menzionano svariate forme di istigazione pubblica al razzismo (l’incitazione all’odio e la diffusione di ideologie razziste). I cpv. 4 e 5, invece, disciplinano la discriminazione diretta di una persona o di un gruppo di persone.

L’art. 261bis CP protegge in primo luogo la dignità umana (cfr. art. 7 Cost.) e di conseguenza anche la pace pubblica, in quanto volta ad assicurare una convivenza pacifica e sicura della popolazione. La dignità umana è violata quando una persona o un gruppo di persone sono lese nell’essenza della loro personalità, ovvero quando sono definite inferiori o quando è loro negata la qualità di essere umano o il diritto alla vita. L’atto deve quindi essere di una certa gravità.

L’art. 261bis CP punisce soltanto le discriminazioni fondate sulla «razza», sull’etnia, sulla religione o sull'orientamento sessuale; l’appartenenza nazionale e la cittadinanza non sono protette.

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«Razza»

Il costrutto sociale di «razza» non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte peculiarità culturali, religiose o inerenti all’origine. Ecco perché, ad esempio, differenze di status socio-economico sono «spiegate» come biologicamente date con l’appartenenza etnica, culturale o religiosa.

Al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, nell’Europa continentale il concetto di «razza» è stigmatizzato come costrutto fondante del razzismo e perlopiù usato tra virgolette. Il termine è tuttavia diffuso nelle convenzioni internazionali ed è per questo impiegato anche nell’art. 8 Cost. e nell’art. 261bis CP per definire una caratteristica sulla base della quale è vietato discriminare.

L’art. 261bis CP punisce soltanto gli atti pubblici. Secondo il Tribunale federale, gli atti o i commenti sono da considerarsi pubblici ai sensi dell’art. 261bis CP quando avvengono «al di fuori dell’ambito privato». Per commenti e atti privati è da intendersi ciò che è espresso nel seno della cerchia familiare, di un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da particolare confidenza. Per giudicare se un atto sia da considerarsi commesso in una cerchia privata, occorre tenere conto delle circostanze concrete. Il numero delle persone presenti può ovviamente giocare un ruolo, ma da solo non basta per configurare un atto pubblico (DTF 130 IV 111, 119 seg., consid. 5.2.2). È di per sé sufficiente la sola possibilità concreta che un osservatore abbia assistito all’episodio di stampo razzista (DTF 133 IV 308, 319, consid. 9.1). A determinate condizioni, in mancanza del carattere pubblico, possono essere fatte valere altre fattispecie penali, quali l’ingiuria (art. 177 CP) o le lesioni personali (art. 122 segg. CP).

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Art. 28 CC – Protezione della personalità – Contro lesioni illecite – Principio

1 Chi è illecitamente leso nella sua personalità può, a sua tutela, chiedere l’intervento del giudice contro chiunque partecipi all’offesa.
2 La lesione è illecita quando non è giustificata dal consenso della persona lesa, da un interesse preponderante pubblico o privato, oppure dalla legge.

Commento

L’art. 28 CC protegge le persone fisiche e quelle giuridiche da osservazioni o atti di terzi lesivi della personalità. La nozione di personalità comprende l’insieme dei valori fondamentali individuali di una persona. Ne sono protette sia l’esistenza in quanto tale sia le specificità individuali.

Possono essere lese la personalità fisica, la personalità emozionale o psichica, la personalità sociale (p. es. la sfera privata e l’autodeterminazione informativa), l’onore o la personalità economica.

Una lesione della personalità secondo l’art. 28 CC è data soltanto in presenza di un’offesa di una certa gravità. La lesione della personalità deve inoltre essere illecita (ovvero non giustificata). La lesione non è illecita se, ad esempio, è giustificata dal consenso della persona lesa o da un interesse preponderante pubblico o privato (p. es. l’interesse del pubblico ad essere informato). Occorre quindi chiedersi se sia effettivamente data una lesione della personalità ai sensi della legge e, in caso affermativo, se sussistano motivi che la giustifichino. La colpa del convenuto non è tuttavia presupposta.

È autorizzato a chiedere l’intervento del giudice soltanto chi è direttamente leso nella sua personalità. L’attore può chiedere che la lesione della personalità sia fatta cessare, accertata o proibita (art. 28a cpv. 1 n. 1–3 CC). Può chiedere in particolare la pubblicazione di una rettifica dell’osservazione razzista o eventualmente della sentenza contro il convenuto. Se possibile, la pubblicazione deve raggiungere lo stesso pubblico che ha preso atto dell’osservazione lesiva della personalità dell’interessato. A determinate condizioni, chi è leso nella sua personalità dall’esposizione di fatti ad opera dei media ha il diritto di rispondere con una propria esposizione dei fatti (art. 28g CC).

L’art. 328 CO disciplina la protezione della personalità del lavoratore.

Maggiori informazioni sui delitti contro l’onore(in tedesco).

Principali manifestazioni della discriminazione